Camminando si apre il cammino della speranza - prima parte

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Camminando si apre il cammino della speranza - prima parte

Il monte del Carmelo on line
Pubblicato da Don Angelo Ciccarese in monte del Carmelo n68 · Giovedì 02 Gen 2025 ·  6:45
La speranza non delude”: con queste parole si apre la lettera con cui Papa Francesco ha indetto l’anno giubilare del 2025. La speranza non è solo un tema da approfondire. Tenendo conto che il Giubileo dura un anno, ricco di celebrazioni e iniziative a Roma e nelle diocesi, la speranza come dono di Dio richiede tempi di riflessione accurata, ma soprattutto esperienze concrete rivolte a tutti, credenti e non credenti o credenti in altre religioni. L’anno giubilare diventa un percorso a tappe che avrà un aspetto visibile nei pellegrinaggi e nelle opere di carità, ma dovrà essere soprattutto un percorso che tocca il cuore e le coscienze.
1 – È un percorso che ci tocca personalmente. Il Papa ha indicato con chiarezza la finalità principale del Giubileo: “Per tutti possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù” (FRANCESCO, Spes non confundit, n. 1). Incontro vivo perché Gesù è il Risorto Vivente. Incontro personale perché devo essere capace di mettermi in gioco. Ma dove lo incontro il Signore Risorto Vivente? Ecco la indicazione di alcuni luoghi possibili: nella Parola, nella preghiera, nella contemplazione del creato, nella comunità (“dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”; Egli è davvero qui), negli avvenimenti della nostra vita lieti o tristi, negli avvenimenti del mondo, nella celebrazione di tutti sacramenti in cui Egli è presente con la grazia e la forza della sua Pasqua. Non basta conoscere i luoghi dell’incontro, occorre frequentarli. Ecco perché prima dicevo che è necessario mettersi in gioco. Quando Giovanni Battista ha visto passare Gesù, ha detto ai suoi discepoli: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”. I discepoli di Giovanni hanno seguito Gesù e gli hanno chiesto: “Maestro, dove abiti?”. Gesù non ha dato loro l’indirizzo di casa, ma ha detto semplicemente: “Venite e vedete”. Da quella frequentazione familiare a tu per tu sono rimasti sempre con Lui.
Il Giubileo ci chiede un cambio di prospettiva nel nostro modo di vivere la fede e di dirci cristiani. Da essere credenti per consuetudine e tradizione, imparare a diventare discepoli, cioè familiari di Cristo, il Risorto Vivente. Il cambiamento di prospettiva certamente non avverrà da un giorno all’altro. Anche i discepoli non hanno capito davvero il Signore sin dal primo incontro. Prima hanno frainteso l’annuncio del Regno: pensando che si trattasse di un regno come gli altri hanno perfino litigato per chi doveva essere al primo posto accanto al Maestro. Lo hanno lasciato solo nel momento della prova. Gesù non li ha licenziati e non li ha sostituiti con altri dodici apostoli, ma ha continuato a fidarsi di loro e dopo la Resurrezione ha affidato loro il compito di continuare nel suo nome e con la sua autorità la missione che Egli aveva iniziato. Gli apostoli hanno cominciato a comprendere davvero il Maestro con la discesa dello Spirito Santo. Ciò che conta per noi è decidere di metterci al seguito del Signore Gesù, sapendo di poter contare sulla sua pazienza e sulla sua fiducia.
Se vogliamo comprendere cosa significhi mettersi in gioco, guardiamo a Maria. I Vangeli ci dicono che Maria era promessa sposa di Giuseppe. Come molte coppie di fidanzati stavano sognando e costruendo il loro futuro. Nell’annunciazione a Maria viene detto che Dio le propone di diventare sua partner speciale per dare inizio all’ultimo capitolo della storia della salvezza, concependo e facendo nascere il suo Figlio unigenito. Maria azzarda solo qualche domanda. Capisce che dipende anche dal suo SI la realizzazione della Incarnazione. Si fida e si affida. Rimette in discussione tutti suoi progetti. Sa che potrebbe entrare in crisi la sua relazione con Giuseppe e che dovrà affrontare anche i “si dice” della gente di Nazareth, un piccolo borgo dove i pettegolezzi sono di casa. Questo SI detto all’inizio è continuato in tutti momenti della vita di Gesù, anche sul Calvario dove le viene affidata la cura dell’umanità, durante la Pasqua, nel ritorno al Cielo del Figlio e fino al momento della sua Assunzione. La domanda che sorge a questo punto è semplice a formularsi, ma è scomoda: Cosa sono disposto a mettere in discussione della mia vita durante il Giubileo se scelgo di incontrare personalmente Gesù, Risorto Vivente?
2 – Il Giubileo è un percorso che ci riguarda come costruttori delle nostre Comunità. Difatti l’evento giubilare coincide con un altro evento: tutta la Chiesa da almeno quattro anni sta vivendo l’esperienza della sinodalità. Non so se siete stati coinvolti in questo avvenimento di grazia nelle vostre parrocchie o nelle vicarie. Di che cosa si tratta? Sinodo significa “sulla strada della vita e della storia camminiamo insieme”. Si tratta di scoprire un volto diverso della Chiesa e di vivere in modo diverso il nostro stare nella Chiesa. Si tratta di passare dall’essere una Chiesa di trascinati (e a volte trascurati) a una Chiesa in cui tutti sono protagonisti. Da una Chiesa in cui solo il Papa, i Vescovi e i presbiteri parlavano e decidevano al posto di tutti e il Popolo di Dio doveva solo obbedire ed eseguire, a una Chiesa in cui tutti si sentono e sono responsabili, in modi diversi, della missione di Gesù. Da dove nasce questa responsabilità comune? Si tratta di prendere coscienza della dignità infinita che ci è stata donata nel Battesimo e che dobbiamo rendere vita e ragione di vita nella Chiesa e nel mondo. In tanto cominciamo col dire che il Battesimo non è un rito bello che serve per l’anagrafe parrocchiale. Attraverso il rito del Battesimo avviene in noi una realtà misteriosa e grande. Il Battesimo significa immersione:
 Nell’amore e nella vita del Padre del Figlio e dello Spirito Santo: riceviamo il segnale da dove proveniamo e dove approderemo. Noi siamo già da ora nella famiglia di Dio, perché veri figli di Dio.
 Veniamo resi partecipi delle qualità proprie di Gesù sacerdote, re e profeta.
 Lo Spirito Santo ci arricchisce di doni e attitudini che altri non hanno. Da qui la nostra unicità e originalità.
Questo corredo che ci è stato donato ha una finalità: non è una specie di medaglia che dobbiamo esibire. Il Vangelo chiama questi doni TALENTI affidati solo in amministrazione, non perché ce li godiamo da soli. Nel Regno di Dio non esiste la proprietà privata. S. Paolo ci ricorda che questi doni sono per la utilità comune. Noi diventiamo costruttori delle nostre comunità quando investiamo in maniera possibile noi stessi e i nostri doni nella esperienza viva e feriale delle nostre comunità e nella vita sociale. Sappiamo che le relazioni nelle nostre comunità sono spesso difficili non solo per la diversità di vedute e di caratteri, ma soprattutto per aver assimilato solo in parte i sentimenti del Signore Gesù. Ma noi non siamo chiamati a edificare una Chiesa astratta, ideale e perfetta, ma quella concreta che abita le nostre parrocchie e le nostre Confraternite. In che cosa possiamo e dobbiamo investire noi stessi e i nostri doni? Nel far diventare esperienza di vita nelle nostre relazioni le caratteristiche proprie di Dio: la COMUNIONE e la MISSIONE.


Il monte del Carmelo
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