Gli argenti della confraternita e del convento del carmine e le diatribe ottocentesche

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Gli argenti della confraternita e del convento del carmine e le diatribe ottocentesche

Il monte del Carmelo on line
Pubblicato da GIanmichele Pavone in Monte del Carmelo n66 · Lunedì 09 Set 2024
Dieci anni fa, sulle pagine di questo Giornale raccontavamo le vicissitudini subite dai beni di proprietà dei Padri Carmelitani di Ostuni incamerati dal Regno all’indomani dell’Unità d’Italia e il lettore attento ricorderà che oltre all’importante biblioteca, alle opere d’arte, agli arredi della chiesa, menzionavamo anche «tutti gli oggetti preziosi di qualunque natura» presenti in un inventario redatto il 16 marzo 1861 dalle Autorità dell’Amministrazione comunale appena nata (il sindaco Paolo Tanzarella ed il cancelliere Onofrio Giovene), accompagnati dal priore del convento del Carmine, fra Giovanni Vavalle, nativo di Conversano.
Il documento custodito presso l’Archivio storico della Biblioteca di Ostuni contiene, in particolare, l’indicazione certosina degli oggetti di argento e oro, con il loro peso esatto al fine di quantificarne il valore, ma ci eravamo riservati di approfondire in altra sede le sorti di quei beni dopo passaggi di mano e contenziosi vari.
Oggi la lettura di un documento inedito custodito nell’archivio dell’Arciconfraternita del Carmine consente di dirimere molti dubbi.
Con atto rogato dal notaio Francesco Saverio Spani il 23 aprile 1823 la Confraternita del Carmine consegnò al Convento dei Padri Carmelitani i seguenti oggetti d’argento del peso complessivo di 9 libbre e 11 once (4,13 chili): la corona della Vergine del Carmine; la coronella del Bambino; una pisside; un calice con la sua patena; un incensiere; una navetta; un aspersorio. L’accordo prevedeva che in caso di chiusura del monastero, per qualunque motivo, i beni sarebbero rientrati nella disponibilità della Confraternita.
Sta di fatto che – com’è noto – con l’Unità i beni dei Carmelitani vennero incamerati dal Governo e fortunatamente nell’inventario redatto da Vavalle si dava atto dei diritti della Confraternita.
Con successivo verbale del 6 febbraio 1862 la Cassa Ecclesiastica prese possesso degli immobili e lasciò gli arredi sacri in custodia al priore Vavalle. Quest’ultimo però, temendo i furti (in considerazione del fatto che il convento si trovava fuori dell’abitato), affidò tali oggetti ed anche gli ultimi argenti al ricco proprietario terriero Raffaele Sansone (1827-1902, nel 1850 sposò Anna Isabella Carmignano).
Lo stesso carmelitano poco dopo si ammalò e passò a miglior vita il 19 novembre 1865 mentre la città era funestata dal colera. Il Ricevitore, quindi, con verbale del 3 dicembre 1865 formalizzò l’affidamento degli arredi a padre Luigi Alò, originario di Martina Franca. Quest’ultimo però, seguendo l’esempio del predecessore, volle che gli oggetti preziosi restassero presso il palazzo Sansone ma trattenne due calici con le rispettive patene per il servizio diurno (come dichiarato il 18 aprile 1877).
Il convento, poco dopo, venne chiuso per mancanza del numero minimo (agli inizi del 1866 oltre al priore Alò c’erano solo padre Luigi Tabarini di Ostuni, padre Carmelo Saponaro di Carovigno, temporaneamente domiciliato a San Michele Salentino, e tre laici) e, conseguentemente, il priore della Confraternita Stefano Ayroldi richiese al Sansone la restituzione dei beni innanzi indicati e degli altri argenti che di fatto si trovavano in suo possesso, del peso complessivo di quattro libbre e otto once (2,17 chili) e del valore di 262 ducati e 50 grana (1.115,63 lire), cioè: un calice con patena, un bacile, un boccale ed una bugia.
Il ricco proprietario terriero ostunese, però, non si rese disponibile e prese così avvio un contenzioso durato circa trent’anni: con atto dell’usciere Valentino Ricci del 25 gennaio 1866, quindi, il Sansone venne citato in giudizio innanzi alla Pretura mandamentale di Ostuni dal priore Ayroldi e il processo ebbe inizio il 31 gennaio seguente. Il convenuto si dichiarava disposto a restituire i beni consegnati dal Vavalle ad eccezione di un incensiere, una navetta ed un cucchiaino perché era stato avvertito da Domenico Venita, Ricevitore del Demanio e Tasse di Ostuni, che tali oggetti appartenevano alla Cassa Ecclesiastica e, per tale ragione, chiese termine per chiamarlo in causa.
Il processo venne quindi rinviato per consentire di integrare il contraddittorio e il Ricevitore si costituì in giudizio assistito dall’avvocato Alfonso Giovine, chiedendo termine per poter compiutamente replicare. Successivamente, si oppose alla consegna richiamando anche il regio decreto del 7 luglio 1866, n. 3036, con cui era stato negato il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, le corporazioni e le congregazioni religiose regolari che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico.
La causa doveva essere discussa all’udienza dell’11 aprile ma, dopo vari rinvii, giunse a conclusione il 12 settembre dello stesso anno, quando il giudice si riservò di decidere. La questione giuridica da dirimere era la seguente: avendo la Confraternita contrattato con il monastero, affidando ai frati l’uso degli oggetti sacri, salvo rientrarne nel possesso ove fosse mancato per qualunque evento detto sodalizio monastico, poteva ritenersi che la condizione si fosse verificata nella situazione in cui, disposta la chiusura del convento, la Cassa Ecclesiastica era subentrata in tutti i diritti e obblighi dell’ente soppresso?
Sciogliendo la riserva, con sentenza del 29 settembre 1866, il Pretore Angelo Ribezzi dichiarò che la proprietà degli oggetti sacri in questione spettasse alla Congrega. Precisò, in particolare, che nell’atto del 1823 si prevedeva la restituzione nel caso in cui il convento fosse venuto a mancare «per qualunque evento» e quindi nel caso di specie si era verificata senza alcun dubbio la soppressione prevista dall’atto notarile e i beni dovevano fare ritorno nelle mani dei confratelli. Ordinò così la restituzione di quanto riportato nell’atto notarile, invitando però la Confraternita ad avviare autonomo giudizio per ottenere gli altri oggetti non compresi nell’elenco, ma che pure si trovavano nella disponibilità di Sansone. La Ricevitoria del Demanio e Tasse di Ostuni fu, inoltre, condannata al pagamento delle spese del giudizio e la sentenza venne poi notificata il 22 ottobre a cura dell’usciere Francesco Solidoro.
Bibliografia
Aa.Vv., Nei funerali di Raffaele Sansone. Celebrati nella chiesa Cattedrale di Ostuni, Tip. Tamborrino, Ostuni, 1902;
APLS, b. 1, f. 3, Arcangelo Lotesoriere, Diario dal 1855 al 1915, Sottof. 2, Id., Cronaca ostunese (1860-1915), carte non numerate, 19.11.1865-30.01.1866;
Archivio dell’Arciconfraternita del Carmine di ostuni (AAC), conclusioni 1823-1893, Anno 187, Comune di Ostuni – Congregazione di Carità, Stabilimento, N. 16, Archivio, Oggetto Argenteria ed arredi sacri 1823, carte sciolte non numerate;
BCO, Archivio Storico, Fondo Postunitario, b. 88, f. 9, Inventario degli arredi sacri, oggetti in oro ed argento posseduti dalla Chiesa del Carmine e dalla libreria dei Padri Carmelitani (1861), 4r-7r;
Ibid., f. 10, Passaggio dell’ex convento dei Padri Carmelitani al Comune e successiva cessione della Parrocchia della Chiesa del Carmine (1861-1951), carte sciolte non numerate;
Lisimberti – Todisco, La venerabile fraternità di Maria Santissima del Carmine di Ostuni, Schena, Fasano, 1995, 66-74 e 111-113;
Pavone, La biblioteca dei Padri carmelitani nel 1861, in Il Monte del Carmelo, nov. 2014, 7, 4-5;
Id., Opere d’arte, arredi sacri, ori e argenti dei Padri carmelitani, in Il Monte del Carmelo, gen. 2015, 8, 4-5.


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